PER SCOPRIRE LE POTENZIALITÀ DELLE DONNE NELLA VITA QUOTIDIANA
Questo è il titolo che ho scelto per la mia tesi finale che ha coronato il completamento della scuola triennale di counseling. Oggi voglio finalmente mettere a disposizione il materiale che ho elaborato nella speranza che tutti insieme, donne ma anche uomini, possiamo riflettere su una spiritualità ancora troppo poco diffusa che andrebbe invece conosciuta da un pubblico più ampio. Perché? Perché purtroppo la cultura attuale non ci fornisce informazioni sufficienti per una gestione ottimale del nostro mondo interiore e dei nostri rapporti interpersonali, ignorando o non dando la giusta importanza a tutto ciò che non si vede con gli occhi ma che c’è e ha bisogno di essere preso in considerazione. Ognuno di noi collabora nel creare la realtà circostante in un movimento che va dall’interno verso l’esterno: ognuno crea dai propri pensieri che diventano azioni e determinano ciò che ci circonda. Spesso non siamo consapevoli di questo movimento di creazione che è spinto soprattutto dal nostro inconscio.
Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino.
(Carl Gustav Jung)
C’è una spiritualità dimenticata, insegnata da alcuni, diffusa da pochi. Nel tempo importanti conoscenze spirituali sono state accantonate a causa di una società sempre più razionale e patriarcale. Riconnetterci con il mondo transpersonale (spirituale) e invisibile, conoscere meglio noi stessi, il nostro inconscio, il nostro forte legame al sistema familiare e molto altro ancora, come espongo nel mio lavoro, permette non solo di raggiungere un maggior equilibrio personale ma anche di creare un beneficio maggiore che dal singolo si espande alla comunità.
La mia tesi è composta da 3 parti: la prima riguarda il counseling sistemico transpersonale, la seconda invece riguarda le risorse utili per scoprire le potenzialità delle donne nella vita quotidiana, la terza parte riguarda le esperienze pratiche di counseling che ho avuto con le donne. La prima parte verrà fornita gratuitamente in formato pdf, la seconda sarà presto leggeremente rielaborata e messa in vendita, la terza parte non verrà resa pubblica per mantenere nella discrezione le storie delle persone con cui ho avviato dei percorsi o applicato tecniche di counseling. Qua vi lascio la premessa, l’introduzione e la prima parte che sarà possibile anche scaricare gratis.


Indice
Premessa
Introduzione
- Il counseling sistemico transpersonale
1.1 Definizioni di counseling e counseling sistemico transpersonale
1.1.2 Counseling: origini e applicazioni
1.1.3 Cos’è il counseling sistemico transpersonale
1.1.4 La famiglia
1.1.5 La madre e il padre
1.2 Applicare il counseling cominciando da sé stessi
1.2.1 Empatia
1.2.2 Ascolto attivo
1.2.3 Accoglienza e assenza di giudizio
1.2.4 Attivare le risorse personali - Strumenti del counseling sistemico transpersonale per scoprire le risorse di noi donne nella vita quotidiana
2.1 Cenni e considerazioni sulle discriminazioni subite dalle donne nella storia fino a oggi
2.1.1 Il ciclo mestruale: discriminazione e potere femminile
2.2 L’importanza delle antenate e della linea materna
2.3 L’amore come pilastro della propria vita
2.3.1 Gli ordini dell’amore
2.4 Riconoscere i punti d’ombra per illuminarli
2.5 La parola come strumento per superare problemi, crisi e cambiamenti
2.5.1 La parola come strumento per il counselor e per il cliente
2.5.2 L’uso delle affermazioni positive
2.6 Il potere della fede attiva - Esperienze di applicazione pratica del counseling
Premessa
Questo studio è il frutto del viaggio più importante della mia vita fino ad ora, cioè la mia esperienza in Spagna dove ho vissuto per diversi anni, con mio marito, mio figlio e dove ho avuto la nostra seconda figlia. Pur essendo emigrati all’estero, considero
questa esperienza come un viaggio dalle implicazioni maggiormente spirituali che materiali, perché ho scoperto cose nuove di me e sulla mia percezione del mondo.
Abbiamo abbandonato tutto cercando migliori condizioni di vita, economiche e climatiche in un posto paradisiaco senza immaginare che questo viaggio ci avrebbe riportato esattamente dove siamo partiti, ma con una diversa consapevolezza.
In questa esperienza di donna e madre sola all’estero, dove non conoscevo nessuno a parte mio marito, dove non parlavo la lingua locale, è cominciato il viaggio alla scoperta di me stessa. Nel mio sentirmi sola, piccola e impaurita è sorta la sensazione di un disagio indefinito, è nata la mia volontà di conoscere “di più”, di liberarmi da qualcosa… ma cosa? Ancora non lo sapevo perché non avevo gli strumenti per capirlo. Come donna e come madre avevo bisogno di acquisire informazioni e consapevolezza che mi aiutassero nel mio percorso, con me stessa, nella maternità, nella coppia e come persona sola all’estero.
Si dice spesso: “Chiedi e ti sarà dato”, effettivamente con i tempi di un volere superiore e misterioso è stato così. Sono arrivate tante persone, informazioni ed esperienze tutte legate tra di loro da questa forza più grande che è al di sopra di noi, in risposta a desideri che avevo espresso in passato e non capivo che tutto era parte di un grande quadro che viene dipinto ogni giorno indipendentemente dalla nostra comprensione.
Ho capito che libri, seminari e corsi sono importanti tanto quanto l’esperienza e l’azione nelle nostre vite. L’esperienza ci forgia e ci prepara, ma questo processo non può avvenire se non ci abbandoniamo al flusso della vita come fa un bambino nella sua innocenza e con la firme sicurezza che tutto avviene per un bene superiore preciso.
Introduzione
Ritengo che viviamo in un’era di progressiva disconnessione da noi stessi e dagli altri, affrontando momenti di difficoltà e solitudine molto forti, cercando spesso risposte ai nostri disagi che fatichiamo a trovare, o non cercando affatto perché reprimiamo queste sensazioni.
Nel counseling possiamo trovare un alleato che aiuta a vedere i problemi da un altro punto di vista, a essere più consapevoli delle nostre emozioni e delle nostrelimitazioni.
Nella prima parte della tesi approfondisco pertanto il concetto generale di counseling e counseling sistemico transpersonale, soffermandomi oltre che su origini e definizioni tecniche anche sull’uso del counseling come modo di riconnettersi con le proprie risorse personali e con la parte di sé stessi più resiliente, positiva e creativa.
Mi soffermo su elementi fondamentali come l’empatia, l’ascolto attivo, l’accoglienza e la sospensione del giudizio definendoli non solo come elementi essenziali da applicare nel ruolo di counselor ma anche come risorse fondamentali nella vita quotidiana di tutti i giorni, prima di tutto verso noi stessi. Quando li applichiamo veramente con noi stessi possiamo usarli anche con gli altri, migliorando considerevolmente l’energia dell’ambiente che ci circonda.
Inoltre in questa prima parte mi soffermo sull’approccio sistemico utilizzato nel counseling dove si evidenzia come i gruppi a cui apparteniamo ci influenzano e noi li influenziamo a nostra volta. Nell’ambito sistemico mi concentro sul ruolo della famiglia come primo sistema a cui apparteniamo e sul ruolo specifico della madre e del padre. La consapevolezza del mondo sistemico e transpersonale possono incidere notevolmente in quanto mezzo per illuminare lati oscuri, conosciuti dalla nostra anima ma sconosciuti alla nostra mente, e contribuire al miglioramento della nostra vita.
Come donna e madre osservo, in secondo luogo, come oggi le famiglie siano sempre più divise e in esse le donne siano sempre più sole e abbiano poche figure di riferimento che le guidino in un processo di consapevolezza mirato e basato prima di tutto sull’essenza stessa della donna, sulle sue peculiarità, tra le quali ad esempio l’essere madre. Così spesso le donne, prima di tutto come persone e poi come madri, si sentono sole e non hanno gli strumenti per guarire le proprie ferite e creare la vita che desiderano.


Libro consigliato: L’arte del counseling
Per questo nella seconda parte della tesi mi concentro sul counseling applicato al mondo femminile, ripercorrendo le risorse che hanno aiutato anche me a crescere come donna e come madre, sostenendomi nell’elaborazione delle mie soluzioni personali e connettendomi in maniera più profonda con me stessa, con i miei desideri e obiettivi del cuore. In questo percorso, comincio con dei riferimenti storici sulle discriminazioni a cui sono state soggette le donne dal passato fino ad oggi, per arrivare a evidenziare il peso di questi nell’inconscio collettivo femminile e di conseguenza nella vita di noi donne.
Chiedendomi quindi cosa possiamo fare come donne per non rimanere nel vittimismo, per non essere bloccate dalla paura, dall’ansia, per non essere molestate o discriminate, proseguo esponendo gli elementi a parer mio importanti per far sì che
come donne prendiamo coscienza di tutte le risorse possibili più efficaci per noi, per guarirci ed essere consapevoli del nostro mondo interiore, delle nostre capacità e delle nostre vocazioni, dando luce alla vita che vogliamo.
Inizio l’esplorazione degli strumenti del counseling sistemico transpersonale per scoprire le potenzialità delle donne, soffermandomi sul concetto di amore, sia in generale che nel counseling, sull’importanza centrale che ha nella vita di tutti facendo chiarezza sull’idea stessa di amore, le sue implicazioni e ricollegandomi all’amore di cui parla Hellinger in molti dei suoi testi.
Dobbiamo capire le regole di questo amore superiore che tutto governa e che nelle nostre vite si manifesta in maniera potente e vuole essere riconosciuto. Dobbiamo ricordarci che viviamo nell’amore e che esso è il pilastro della vita.
Cos’è, se non un gesto d’amore, usare l’ascolto attivo e l’empatia verso noi stesse, essere più compassionevoli, perdonarci e darci una possibilità in più.
L’amore si manifesta anche come bisogno di guarire sé stessi ed esprimere i desideri più autentici e profondi, ritrovare il proprio nucleo essenziale e vivere in un percorso di coerenza rispetto a esso; pertanto in questa visione si colloca il
riconoscimento de i propri punti ombra con cui proseguo in questa seconda parte.
Mi soffermo poi sulla fase di superamento delle crisi e dei problemi, concentrandomi sugli strumenti pratici legati al counseling che possono aiutare prima di tutto noi stessi e poi chi si rivolge a noi come counselor, in una migliore gestione dei propri lati
ombra e nella guarigione delle proprie ferite: il potere della parola di cui sottolineo l’importante funzione creativa, come strumento sia per il counselor che per il cliente, e mi soffermo anche sull’utilizzo delle affermazioni positive per stimolare, grazie al
linguaggio, dei cambiamenti in meglio nella nostra vita. In questa logica continuo introducendo il concetto di fede, ripercorrendone il significato e le implicazioni più profonde, unito al concetto di azione. Possiamo usare il potere della parola a nostro
vantaggio come mezzo per guarirci e dare una direzione positiva alla nostra vita e possiamo usare la fede attiva per ottenere cambi inaspettati e miracoli nelle nostre vite; possiamo agire e scoprire qualcosa di nuovo su noi stesse e su quello che la
vita ci può donare.
Libro consigliato: L’uomo alla ricerca di sé
Il potere della parola è un argomento che da molto tempo mi è caro, infatti l’ho affrontato in diversi articoli:
Affermazioni positive e potenzianti: come elaborarle correttamente
Esempi di affermazioni positive: guida gratuita e 50 esempi da usare per stare meglio
Il potere della parola: quello che dici crea la vita che hai
Ho ascoltato me stessa con il mio carico di sofferenze e limitazioni, ho ascoltato molte donne con tutti i loro problemi, spesso mi sono ritrovata ad applicare le tecniche di counseling senza ricordarmi che era counseling, così oggi ho deciso di continuare ad ascoltare le donne, usando in maniera attiva e consapevole il counseling e le sue tecniche, perché come dice Carl Rogers “La compagnia gentile e sensibile offerta da una persona empatica fornisce l’illuminazione e la guarigione”… e in questo mondo abbiamo tanto bisogno di guarigione.
Per questo nella terza parte del mio lavoro espongo le mie esperienze e considerazioni sui colloqui individuali portati avanti con alcune donne, mettendo in luce come le tecniche di counseling apprese unite all’intuizione e all’esperienzapersonale, siano state utili o meno, tanto per il counselor quanto per il cliente.
IL COUNSELING SISTEMICO TRANSPERSONALE
1.1 Definizioni di counseling e counseling sistemico transpersonale
Il counseling come lo conosciamo oggi viene descritto in molti modi, tra quelli ufficiali ad esempio c’è la definizione approvata dall’Assemblea Nazionale FAIP Counseling il 18 aprile 2013, secondo cui “Il Counseling è una professione in grado di favorire lo sviluppo delle potenzialità, qualità e risorse di individui, gruppi e organizzazioni”.[1]
In questa sintetica ma esplicativa spiegazione sul concetto di counseling un primo fattore che voglio sottolineare è il focus sullo sviluppo delle “potenzialità”, il cui significato dal vocabolario è “lo stato di ciò che è ancora latente ma è capace di svilupparsi, di realizzarsi, di avere esistenza attuale: la natura è semplice p.; occorre l’educazione perché diventi atto (De Sanctis)[2].
Tale significato a sua volta implica una visione dell’essere umano come un’ entità con aspetti da scoprire, esplorare e far emergere, introducendo anche il concetto di educazione: effettivamente il counseling è anche un percorso di educazione nella riscoperta di sé stessi. Inoltre l’attenzione alle risorse dell’essere umano permette di percepire la visione positiva dell’individuo, affermando implicitamente che ognuno ha delle potenzialità da tirar fuori. La scoperta e lo sviluppo delle potenzialità personali sono a mio parere intimamente collegate con la felicità; di questo ne parla anche Martin E.P. Seligman, professore di psicologia all’università di Pennsylvania, considerato tra gli esperti più celebri di psicologia positiva.
Egli parla di tre tipi di vita che si possono condurre. La prima è chiamata una “vita piacevole”, piena di emozioni gradevoli rispetto al passato, presente e futuro ma basato solo sul piacere, con il rischio di restare limitati nel materialismo.
La seconda è menzionata come una “vita buona”, in cui coltiviamo le nostre potenzialità e le sfruttiamo anche per avere gratificazioni nelle aree principali della nostra esistenza, dalle relazioni al lavoro, sentendo una grande passione. La professione è vissuta come una missione e, anche nel caso in cui lavoriamo molto, proviamo spesso dei picchi di appagamento e felicità molto forti. In questo tipo di vita può essere che il guadagno passi in secondo piano rispetto alla soddisfazione personale. La terza è invece quella che Seligman definisce come la felicità ricercata da ogni essere umano, cioè la “vita piena di significato”, in cui puntiamo oltre noi stessi: scopriamo quali sono le nostre potenzialità, capacità, punti di forza, impariamo a svilupparli e li condividiamo per metterli al servizio di qualcosa di più grande di noi[Cfr. ], concetto tralaltro pienamente in linea con la visione transpersonale e le teorie elaborate da Maslow, come vedremo più avanti. Un libro che secondo me è davvero bello e che infatti è presente nella bibliografia in quanto vi ho tratto diversi spunti di riflessione è: Mi merito il meglio di Lucia Giovannini.


Trovo entusiasmante che il counseling possa diventare un trampolino di lancio nella creazione di “una vita piena di significato”, processo che nei colloqui deve avvenire sempre nel rispetto delle decisioni del cliente. Anche questo concetto di rispetto che un counselor deve avere per chi si rivolge a lui, appare fondamentale e talvolta non così ovvio da far proprio nel senso più profondo del termine: “aiutare qualcuno ad aiutarsi” significa anche cogliere dove stanno i limiti della volontà di azione del cliente, accettando che, pur vedendo grandi potenzialità in lui/lei, non si può forzare il processo di crescita personale che è uno sbocciare non controllabile ne prevedibile, tantomeno presumere di sapere cosa è giusto che il cliente faccia o meno.
Personalmente considero il counseling come un’arte, dove la conoscenza teorica, necessaria nella preparazione di ogni professionista, si fonde con la sua personale esperienza, con l’impegno a partecipare intensamente alla vita, alla profonda introspezione e voglia di donare un contributo al proprio interlocutore.
Un counselor appassionato ascolta con profondo rispetto ed empatia il vissuto dell’altro, percependo in ogni essero umano la magia della manifestazione di una forza superiore. Proprio come nell’arte ogni artista è diverso e così le sue opere, così nella vita non ci sarà mai un counselor uguale a un altro come pure il contributo che egli può dare. In questa ottica di unicità cade ogni aspetto di competizione tra gli stessi counselors o tra questi e figure professionali di altri ambiti similari in quanto tale percezione crea spazio per l’operato di tutti, anche perché, come vedremo, i contesti in cui si può esercitare la professione da counselor sono veramente molti.
Il counseling si svolge attraverso incontri singoli o di gruppo a cui partecipano coloro che hanno la necessità di esporre una o più problematiche, nel 1995 l’AEC (Associazione Europea di Counseling) lo definisce come “un processo interattivo tra counselor e cliente, o più clienti, che affronta in modo olistico temi sociali, culturali, economici e/o emotivi. Può concentrarsi sulla modalità di affrontare e risolvere problemi specifici, favorire un processo decisionale, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo, accrescere la conoscenza, la consapevolezza di sé e permettere di elaborare emozioni e conflitti interiori. L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti l’opportunità di lavorare, con modalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse, sia come individui sia come membri della società più vasta”[3]
In questa spiegazione più ampia ed esplicativa voglio soffermarmi sul concetto di “olistico”, riferito all’olismo che delinea un altro importante modo di considerare l’individuo nel counseling, cioè la visione del “tutto” non come semplice somma delle singole parti. Un esempio che rende chiaro questo concetto è il corpo umano, le cui componenti hanno un senso solo se considerate nella loro totalità: il cervello ha un’importanza e un senso che dipendono dalla sua relazione con il resto degli organi e viceversa. In sostanza l’olismo si basa sulla teoria che è impossibile isolare un sistema minore da un sistema maggiore, che di fatto, lo contiene: tanti sistemi minori determinano quello più grande, permettendogli così di sviluppare tutte le potenzialità. Presi da soli avrebbero poco senso. Dunque l’essere umano è la somma di molti elementi diversi che nella loro totalità creano qualcosa di molto complesso e affascinante.
L’intervento di counseling utilizza varie metodologie provenienti da diversi orientamenti teorici come l’approccio rogersiano, esistenziale, di Gestalt e quello sistemico transpersonale, che verrà approfondito a parte. Esistono molti altri tipi di counseling come quello filosofico, integrato, di gruppo, di logoterapia, di psicosintesi, di analisi transazionale, di PNL e ancora l’Ecocounseling e il co-counseling.[Cfr.]
Le basi del counseling definito “rogersiano” prendono il nome da Carl Rogers[4], figura centrale nella storia di questa disciplina, il quale delinea l’approccio conosciuto come “centrato sulla persona” perché si focalizza sull’individuo e le sue capacità intrinseche di evolversi e migliorare, piuttosto che sulla patologia.
Carl Rogers fu una figura discussa nella sua epoca, chiamato anche “rivoluzionario silenzioso” per la piena fiducia che espresse nell’individuo riconoscendolo come il vero esperto nel risolvere i propri problemi, quindi non con un ruolo passivo ma attivo e il rifiuto del ruolo direttivo del professionista, con il passaggio a una posizione di orizzontalità rispetto al cliente, evitando di porsi come figura di autorità. Per approfondire la figura di Carl Rogers il libro consigliato è:
Questa orizzontalità del counselor è un aspetto personalmente molto rasserenante perché lo mantiene in una posizione di umiltà e professionalità accogliente.
Inoltre Rogers enfatizza varie abilità e caratteristiche del counselor come fondamentali nel colloquio per la connessione con l’interlocutore, come l’autenticità, la coerenza, l’accettazione incondizionata, l’empatia e l’ascolto attivo.
Rollo May[5], Soren Kierkegaard[6] e Sartre[7] sono invece alcuni esponenti più rappresentativi dell’approccio esistenzialista, il cui punto chiave è quello di portare l’altro a riconoscere la propria libertà di pensiero, azione e creazione nella vita, e di conseguenza anche la propria responsabilità.
Nel counseling di Gestalt, metodologia fondata da Friederich Perls[8] , l’attenzione viene posta su come il cliente percepisce la realtà, partendo dal presupposto che tendiamo a vedere il mondo circostante non per come realmente è ma in base ai nostri filtri personali, dunque il focus è capire il “come” l’interlocutore ha creato tale percezione personale del problema. La parola “Gestalt” significa appunto “forma”, proprio richiamando il concetto che ogni persona crea personali schemi di percezione della realtà e diventandone consapevole si pongono le basi per il miglioramento o cambiamento. Altri punti sigificativi nell’approccio Gestalt sono il principio che il tutto non è semplicemente la somma delle parti e considerare il malessere non come qualcosa da cui fuggire ma come la chiave da usare per una comprensione migliore dello stesso.
Libro consigliato per approfondire la gestalt “ABC Gestalt: Manuale pratico per psicoterapeuti, counselor e chiunque voglia avvicinarsi a una seduta di terapia”
Il concetto base su cui ruota il counseling logoterapico invece, è che “se si ha un perché, si sopporta ogni come”, come dimostrato da Viktor Frankl[9] che fu prigioniero nei campi di concentramento, vivendo e capendo sulla sua pelle come la volontà e la forza di sopravvivere in una tale sofferenza fossero tanto più forti quanto maggiori e profonde le motivazioni e gli obiettivi da raggiungere al di fuori di quell’oscuro contesto. Chi sopravviveva cioè non era il più forte fisicamente ma chi aveva una ragione chiara per cui vivere, come la voglia di rivedere un figlio o il proprio innamorato o avesse una meta personale da raggiungere. Nel counseling logoterapico si pone inoltre l’attenzione sullo scegliere attivamente quali potenzialità sviluppare in base ai propri obiettivi, con l’idea di usare al meglio le proprie risorse. Lettura consigliata: Logoterapia e analisi esistenziale
Per quanto riguarda il counseling di piscosintesi, suo esponente è Roberto Assagioli[10], che ha contribuito in maniera importante all’approccio transpersonale, collega e amico di Maslow e Jung. Assagioli risalta la capacità di scelta dell’essere umano e nella psicosintesi si propone di attivare e valorizzare quelle risorse già in realtà presenti nell’indivduo, usando ad esempio l’attivazione del dialogo interno e sfruttando le immagini visualizzate o i sogni per capire l’inconscio, rafforzare la conoscenza di sé stessi e la volontà per andare verso l’autorealizzazione sia personale che transpersonale. Lettura consigliata: Psicosintesi. Per l’armonia della vita
Il counseling di analisi transazionale pone invece l’attenzione alle relazioni come punto di partenza per capire sé stessi, analizzando non l’inconscio ma come avviene l’interazione tra le persone, poiché il modo di comportarci nelle relazioni con gli altri ci offre preziosi indizi sul nostro mondo interiore. In particolare sono evidenziate tre componenti principali della personalità, cioè il bambino, il genitore e l’adulto. Il nostro modo di comportarci è normalmente una conseguenza di avvenimenti passati, per questo l’approccio di analisi transazionale lavora sull’identificare e interrompere comportamenti automatici che il nostro cervello attiva sulla base della memoria di eventi precedenti con cui vengono confrontati gli eventi nuovi. Questa ripetizione di “copioni” nella nostra vita può determinare un limite nell’apprendimento e nella crescita personale. Libro consigliato: Strumenti di counselling in Analisi Transazionale: Per migliorare la comunicazione sociale
Il counseling di PNL, cioè programmazione neuro linguistica, si concentra sullo studio della comunicazione e del comportamento, i quali dipendono da come l’individuo elabora al suo interno le informazioni provenienti dalla realtà esterna e da come queste vengono integrate con le informazioni già presenti. Tutto ciò avviene nel cervello, il cui studio è centrale nella PNL come lo è il linguaggio verbale e non verbale, poiché questo interagisce con l’inconscio. Nella PNL due elementi fondamentali sono la rappresentazione interna e lo stato fisiologico, i quali secondo questa disciplina possono essere modificati in pochi istanti: da qui il nome di programmazione neuro linguistica, in quanto si può essere riprogrammati (programmazione) capendo come funziona il nostro cervello (neuro) e grazie all’uso del linguaggio (liguistica). Molto utili nello studio della comunicazione all’interno della PNL sono i tre modelli con cui le persone tendono a esprimersi: ogni individuo ha un modello prevalente. Questi tre modelli sono quello visivo, uditivo e i cinestetico. Mentre coloro che appartengono al primo gruppo usano la vista come canale preferenziale per descrivere il mondo, amando esprimersi con metafore visive, gli uditivi fanno più attenzione alle parole e i cinestetici percepiscono invece il mondo con il tatto. Ho approfondito la Pnl in questo articolo: Pnl pdf: la raccolta dei migliori ebook sulla Programmazione Neuro Linguistica
L’ecocounseling riconosce l’importante legame tra noi esseri umani e il nostro pianeta, dove abbiamo radici profonde, individuando una correlazione tra il degrado ambientale e il disagio dell’essere umano. Il percorso di ecocounseling ha come obiettivo di rendere consapevoli gli individui del ruolo essenziale rispetto all’ambiente e poter trovare il proprio modo di contribuire al miglioramento delle condizioni ambientali e del rapporto con madre terra.
Il counseling filosofico attinge a idee e concetti provenienti dalla filosofia e tecniche psicologiche di ascolto e comunicazione, con l’obiettivo di far crescere il cliente e risvegliarne la saggezza. Rimane sempre molto legato a Socrate e al suo detto “so di non sapere”, come simbolo del fatto che non c’è mai fina al processo di crescita per cui c’è sempre qualcosa da imparare.
Nel counseling integrato si sfruttano tutti i vari approcci a seconda della necessità, ovviamente questo richiede più studio ma permette di creare percorsi personalizzati per ogni cliente.
L’idea del counseling di gruppo nasce per un’esigenza formativa e dimostrandosi poi molto efficace diventa un approccio applicato con clienti reali dove si fondono gli approcci precedentemente citati. La formazione di gruppi ha dei vantaggi perché permette di sperimentarsi nella relazione con gli altri, creare affinità nei partecipanti che possono dare il loro feedback al gruppo creando un arricchimento reciproco. Inoltre risulta meno costoso da un punto di vista economico.
Il co-counseling invece si instaura quando due persone si turnano nel fare da counselor e cliente sotto una guida apposita, creando dunque situazioni di crescita personale reciproca in un percorso di esplorazione del vissuto personale.[Cfr.]
1.1.2 Counseling: origini e applicazione
Il Counseling si forma gradualmente dall’unione di conoscenze provenienti da altre discipline, in particolare la psicologia umanista ma anche la filosofia, l’educazione, la sociologia, l’antropologia, la medicina e la teologia, con l’intenzione di assistere l’uomo nel proprio processo di crescita personale in vari momenti della vita, in risposta anche a momenti ed eventi storici e sociali particolari, e quindi anche con applicazione in contesti molto diversi tra loro. La parola “counseling” viene usata per la prima volta da Frank Parsons[11] nel 1908 riferendosi ad un’attività usata nell’ambito di problemi socialie psicologici; nello stesso periodo il termine venne utilizzato anche negli Usa da alcuni operatori indicando un sostegno rivolto ai reduci di guerra che avevano bisogno di essere renseriti nella società.
La prima attività strutturata di counseling si ebbe in ambito formativo grazie a Jesse Buttrick Davis[12], un’insegnante che istituì nei primi del ‘900 il primo centro di orientamento scolastico e professionale, simbolo dell’importanza e del legame che il sistema scolastico ha nel contribuire al benessere dell’individuo.
Negli anni successivi si crearono corsi per la formazione specifica dei counselor che inaugurarono così la nascita e lo sviluppo di questa disciplina nei paesi anglosassoni, dove oggi è ormai una realtà consolidata con una formazione istituzionale.
Un momento decisivo si ebbe nel 1942, anno in cui viene pubblicato negli Stati Uniti il libro “Counseling and Psicotherapy” di Carl Rogers; solo 30 anni dopo questo libro viene pubblicato in Europa. È proprio questo psicologo che pone le basi per come conosciamo oggi questa professione e per l’approccio centrato sul cliente.
Il counseling oltre a essere applicato in Gran Bretagna nel volontariato, nelle scuole e nell’ambito dei servizi sociali, diventa ancora una volta una risorsa usata dopo la seconda guerra mondiale per il reinserimento dei soldati nella vita normale. Si può dunque dire in realtà che il counseling sia sempre esistito ma con molti nomi diversi. L’avvio verso una definizione più specifica è legata all’emergente bisogno di una figura che potesse aiutare l’uomo nella riscoperta di sé stesso, delle proprie risorse e soprattutto nella elaborazione personale, attraverso questa riconnessione interiore, delle soluzioni ai propri problemi.
Mentre le prime associazioni che si occupano di counseling nascono negli anni ’50 negli Usa, in Europa iniziano a crearsi solo nel 1976 e in Italia solo negli anni ’90, con la nascita della Società Italiana di Counseling e i primi corsi realizzati dall’ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’ Individuo e delle Comunità).
Nel 2000 il counseling viene inserito dal Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) tra le nuove professioni non regolamentate; un’altra data significativa è il 19 dicembre 2012 in cui la proposta di legge sul riconoscimento ufficiale delle professioni non organizzate in ordini e collegi è stata approvata dal Parlamento come legge ufficiale.
Il percorso di riconoscimento e inquadramento del counseling come professione non è stato tuttavia semplice. Nel corso del tempo si è creata da parte di alcuni una percezione sempre più forte di una competizione e talvolta anche sovrapposizione tra la figura del counselor e quella dello psicologo, culminata con il ricorso del CNOP, cioè il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del Lazio contro il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il Ministero della salute nonchè Assocounseling. Tale ricorso è stato accolto nel 2015 e subito visto come una sentenza contro il Counseling.
Tuttavia nel 2019 la sentenza n. 00546/2019 ribalta la precedente decisione del TAR Lazio del 17 Novembre 2015 rigettando il ricorso dell’Ordine degli psicologi, contrario all’iscrizione di Assocounseling all’elenco del MISE.
Con questa sentenza il mondo dei counselors italiani ottiene finalmente con un atto di indubbio rilievo giuridico, chiarezza e riconoscimento, allineando la figura del counselor in Italia a quella europea.
Un altro aspetto importante è l’iscrizione dei counselors alle associazioni professionali di categoria, ognuna delle quali ha un codice deontolgico. Il codice deontologico definisce un insieme di regole per la gestione della professione, del rapporto con il cliente e con i colleghi. In queste norme ci sono definizioni generali, come chi è il counselor, chi è il cliente, l’accordo che si crea tra i due, ma anche suggerimenti su come stabilire il compenso e la spiegazione del concetto di sanzioni. Vi sono poi altri principi generali: con riferimento al codice deontologico della FAIP[Cfr.], per esempio, si evidenzia come importante l’ulteriore promozione sia della crescita personale che professionale del counselor, che deve essere disponibile alla formazione e agli aggiornamenti continui e ha l’obbligo di manenere alti i suoi livelli di pratica professionale; si definiscono anche principi etici importanti come l’integrità, l’autonomia, la privacy e la riservatezza. Nel codice si elencano inoltre le competenze di base e le linee guida per lo svolgimento dell’attività di counseling, come il rispetto della privacy del cliente, l’impegno a essere supervisionati nell’esercizio della
professione, a coltivare la propria consapevolezza e favorire la crescita del cliente.
Tra le materie da cui la formazione del counseling prende una grande influenza è importante citare la psicologia umanista, che si sviluppa intorno agli anni ’50, in risposta alle limitazioni significative manifestate da alcuni psicologi riguardo agli approcci comportamentali e psicoanalitici. Il comportamentismo è stato criticato per non concentrarsi sulla coscienza umana e sulla personalità, oltre che per essere determinista, meccanicista e fortemente dipendente da studi animali; la psicoanalisi è stata invece criticata per la sua eccessiva enfasi sull’inconscio e sulle forze istintive e, inoltre, per il suo determinismo[Cfr. ].
La psicologia umanista, di cui uno dei creatori non a caso fu appunto Carl Rogers, ha segnato un cambio netto nei concetti, nelle abilità e negli approcci usati con i clienti, tra questi i più importanti e determinanti nel counseling sono:
• lo studio della persona come un tutto, cioè una visione olistica: gli psicologi umanisti capiscono che il comportamento umano non può essere considerato separatamente dai sentimenti, dalle intenzioni, dall’autoimmagine o dalla storia personale;
• l’osservazione del comportamento umano cercando di mettersi nei panni dell’altro, dando dunque importanza al concetto di empatia;
• il focus sulla libertà, sul potenziale umano e sulla creatività;
• l’assenza di giudizio verso il paziente e le problematiche riportate;
• la propensione a concentrarsi sull’essenza della persona per incoraggiarla a concentrarsi sui suoi punti di forza;
• l’unicità dell’individuo.
Gli ambiti in cui il counseling viene applicato sono aumentati nel corso del tempo e nel 2013 sono state definite trentatre specializzazioni da AssoCounseling.
Si può parlare di varie applicazioni: quella in ambito individuale, comunitario, lavorativo e sociosanitario, dove i colloqui non sono più solo individuali e il counselor svolge il suo lavoro affiancato ad altri professionisti.
Nell’ambito individuale l’intervento di un counselor può essere utile per superare una difficoltà esistenziale o relazionale, legata ad un cambiamento improvviso o un momento di crisi che segna un cambio nell’ evoluzione personale del cliente, situazioni in cui le abilità del counselor come l’empatia, l’ascolto attivo e il focalizzarsi sulle capacità, magari ancora sconosciute al cliente stesso, permettono a quest’ultimo di attraversare la crisi personale da un’altra prospettiva più positiva e costruttiva. Esiste anche il counseling spirituale volto ad accompagnare le persone attraverso le loro crisi spirituali; di solito lo usano coloro che agiscono in ambito religioso o professionisti con molta esperienza nella ricerca interiore, tenendo sempre presente che nel caso ci fosse la necessità di interventi più specifici e prolungati nel tempo, il counselor ha il dovere di indirizzare il cliente ad un professionista più adeguato.
Nell’ambito comunitario, il counseling si può applicare nell’educazione, nella coppia/famiglia e nelle comunità. In questi ambiti il counselor diventa un facilitatore della comunicazione, infatti nell’ambito scolastico (dove il ruolo è anche di orientamento) tanto quanto nelle famiglie e nelle comunità, è importante la presenza di una figura neutrale, accogliente, sempre pronta a un ascolto professionale, in grado di creare le basi per il miglioramento nei rapporti e nella gestione del conflitto tra i vari “gruppi”, come genitori, insegnanti, allievi, colleghi e superiori, tra moglie e marito, figli etc etc.
Nel counseling comunitario si include anche quello usato nelle emergenze, dove bisogna affrontare le reazioni delle persone rispetto a situazioni traumatiche come atti terroristici o catastrofi naturali; si applica poi in contesti di interculturalità dove spesso le tensioni sono alte per l’integrazioni di gruppi stranieri e infine anche telefonicamente, come il telefono azzurro/rosa che sono realtà piuttosto conosciute in cui è necessario prepararsi a gestire la relazione col cliente solo attraverso una connessione vocale.
Per quanto riguarda invece l’ambito lavorativo, esiste il counseling aziendale, giuridico e il career counseling. Mentre il counseling aziendale ha lo scopo di lavorare sulle dinamiche relazionali per migliorare il contesto lavorativo, spesso danneggiato dall’incapacità di comunicare che intacca anche la produttività, il career counseling ha lo scopo di aiutare le persone prima che entrino in un ambiente di lavoro, esattamente per trovarne o crearne uno in linea con i propri talenti, le proprie capacità e aspirazioni indivduali.
Il counselor giuridico invece è una figura che aiuta a risolvere le dispute prima di arrivare davanti a un giudice, alleggerendo le procedure legali in situazioni di conflitto come divorzi, affidamento di minore, maltrattamenti etc etc…
Nell’ambito sociosanitario invece si parla di counseling ospedaliero, medico e naturopatico, sessuologico, counseling di accompagnamento alla morte, exit e art counseling. In questo contesto il counseling diventa un mezzo per migliorare la comunicazione tra medico e paziente, in una visione in cui quest’ultimo viene considerato anche dal punto di vista umano, quindi ascoltato e visto non solo per le sue patologie ma accolto come persona. Il counselor che opera nel contesto della sessualità è una figura più specifica che, dopo una formazione adeguata, è in grado di aiutare il cliente ad affrontare crisi e problematiche sessuali, anche di identità di genere e orientamento sessuale.
Il counseling di accompagnamento alla morte invece si rivolge a questa fase della vita tanto delicata e temuta che per molte società è un tabù, permettendo dunque al cliente un percorso di espressione, rielaborazione personale sull’idea della morte e sulla propria esistenza, con un sostegno anche alla famiglia per l’elaborazione del lutto. L’exit counseling è un approccio nuovo usato per liberare le persone da situazioni di manipolazione e controllo mentale; l’art counseling favorisce invece la crescita personale dell’individuo attraverso l’arte sollecitando la creatività, l’espressione e la riscoperta di sé stessi utilizzando musica, teatro, ballo, canto, poesia, scultura etc etc.[Cfr.]
1.1.3 Cos’è il counseling sistemico transpersonale
Il counseling sistemico transpersonale attinge alle conoscenze sistemiche da un lato e transpersonali dall’altro: la visione sistemica permette al counselor di poter vedere il cliente non solo nella sua individualità ma come componente di vari sistemi che lo influenzano; la visione transpersonale invece consente di poter avvicinarsi ad ambiti definiti più spirituali, che vanno oltre la persona, e che percepiamo ogniqualvolta cerchiamo di riconnetterci con una dimensione non materiale.
Come disse Raimond Panikkar[13] “Essere “uomo” è soltanto un’astrazione mentale, poiché l’”uomo”, in verità, non è che un “nodo” nella rete complessa della realtà”, infatti come essere umani la nostra vita prende forma attraverso la realtà che ci circonda, in particolare attraverso le relazioni con gli altri con cui siamo in costante comunicazione e legami invisibili agli occhi appartenenti al transpersonale che attraversano passato, presente e futuro.
Per quanto riguarda appunto questo termine, il “transpersonale”, che può risultare di non immediata comprensione, esso definisce nient’altro che la consapevolezza e la connessione con il mondo spirituale, percepibile in maniera netta in alcuni momenti, come ad esempio nelle “esperienze di vetta”, le meditazioni, le ipnosi e i sogni, dove ci si rende conto che “esiste di più” oltre la persona, dove si percepisce un senso di unione, amore, benessere, connessione e una saggezza superiore.
Il termine transpersonale è stato scelto dalla psicologia in quanto fino agli anni ’50 circa era un po’ scomodo in ambito scientifico parlare apertamente di “spirituale”, quasi come fosse qualcosa di patologico, probabilmente in realtà perché non ancora capito ed esplorato.
In sostanza quindi la psicologia transpersonale si occupa della spiritualità in un contesto psicologico, considerando l’essere umano non come semplice unità psicofisica ma come un insieme aperto e connesso ad una sua dimensione spirituale, con riferimento a quelle aree della realtà psichica che vanno oltre l’identificazione con la personalità individuale; in particolare, in questa connessione, l’obiettivo è la realizzazione del sè chiamato “superiore”.
Il termine “transpersonale” viene usato sia da Assagioli che da Jung, due figure di rilievo che hanno dato un contributo importante in questo contesto. Un libro interessante è Le potenzialità umane presente anche nell’elenco della bibliografia della tesi:
Roberto Assagioli (1888-1974) è stato un medico psichiatra, conosciuto per aver ideato una nuova tecnica chiamata “psicosintesi” che considera l’essere umano come il risultato della combinazione di un insieme di vari elementi come quelli ereditari, educativi, sociali e condizionamenti esterni. Questo porta il formarsi nell’individuo di vari “Io”, come quello familiare, professionale etc etc in costante interazione tra loro e talvolta in conflitto. La psicosintesi vuole dunque cercare di armonizzare queste parti con un processo graduale di crescita e di ritrovamento del proprio “sentirsi uno”, considerando la parte cosciente, gli aspetti inconsci e il Sé spirituale.[Cfr.]
Ritengo molto chiarificante ed esplicativo sul concetto di transpersonale quello che dice Assagioli sull’individuo considerato come colui che si “scopre cittadino di due mondi e viene invitato a vivere coi piedi per terra e con la testa alta verso il cielo”, dando paritaria importanza ai “due mondi”, ad aprirsi allo spirituale senza però perdere il contatto con la propria individualità.
Gustav Jung (1875-1961), che ebbe un’incisiva influenza sulla psicologia transpersonale, fu un discepolo di Freud, da cui poi si distaccò formulando una teoria sui sogni personale secondo cui questi sono un mezzo per la manifestazione di modelli psichici comuni a tutti gli essere umani formatisi nel corso della storia in risposta alle esperienze di vita. Jung si riferisce a immagini presenti nell’inconscio collettivo, chiamate archetipi, che permettono di capire meglio il comportamento dell’essere umano.
A proposito degli archetipi i testi utili per capirli e approfondirli sono vari tra i quali consiglio: Risvegliare l’eroe dentro di noi 12 archetipi per scoprire noi stessi e per le donne in particolare (testo presente anche in bibligrafia) Le dee dentro la donna: una nuova psicologia femminile:
Jung pose molta attenzione sulla trasformazione individuale rafforzando la convinzione degli psicologi transpersonali per la quale è imprescindibile lavorare su se stessi prima di coinvolgere gli altri.
Altro nome significativo in questo contesto è quello di A. Maslow (1908-1970), psicologo statunitense che si focalizzò su aspetti positivi come la creatività, l’amore, l’autorealizzazione e la crescita personale degli esseri umani, ipotizzando l’esistenza di una natura interiore buona. La felicità dell’essere umano dipende in gran misura dalla connessione con quest’ultima che può essere sopraffatta da elementi di vario tipo come la pressione culturale, sociale e familiare: in questa visione la malattia è vista come conseguenza dell’allontanamento dalla natura umana.
Maslow elaborò quella che è conosciuta come la piramide dei bisogni, al cui apice si trova l’“autorealizzazione”, intesa come la capacità di andare oltre all’adattamento, ad una “normalità” che tuttavia non rende l’uomo appagato nel profondo, tanto da parlare di “psicopatologia della norma”. In particolare egli rivolse la sua attenzione non ai malati ma ai sani, cioè a coloro che erano in grado di arrivare a sviluppare il loro potenziale, scoprendo che vi erano dei fattori comuni in tali individui come la spontaneità, la capacità di avere profonde relazioni interpersonali, la tendenza ad essere spiriti indipendenti e anche di avere certe esperienze mistiche: questo rese Maslow molto sicuro del ruolo chiave della connessione con il proprio sè tanto da ritenerlo indispensabile per la realizzazione personale
È proprio il concetto di autorealizzazione, intesa come scoperta e sfruttamento delle proprie capacità in sintonia con la “buona natura umana” che pone le basi per la nascita della psicologia transpersonale, creando il ponte per il passaggio dalla conoscenza alla trascendenza del sè.
Per quanto riguarda invece l’approccio sistemico, esso nasce sotto l’influenza della teoria generale dei sistemi, elaborata nell’ambito scientifico negli anni ’30, dove l’attenzione viene posta nella relazione tra le componenti del sistema, le quali creano una totalità dinamica e interattiva, che è molto di più della somma delle singole parti.
Verso gli anni ’50 si arriva negli Stati Uniti a una visione sistemico relazionale ponendo le basi per uno studio del comportamento umano non più solo con approccio medico che ricercava le cause unicamente all’interno dell’uomo, nel corpo o nella mente che fosse.
Nell’osservazione dei sistemi viventi si determinano delle caratteristiche fondamentali come la tendenza a un equilibrio dinamico, in cui il sistema tende a crescere ma anche a mantenersi (che è lo scopo del sistema stesso), la comunicazione costante delle sue parti e una causalità circolare.[Cfr. ]
Il primo sistema estremamente significativo a cui apparteniamo è la famiglia, non a caso l’approccio sistemico è stato subito di utile applicazione in psicologia nell’ambito familiare. Nel corso della vita diventiamo poi parte di altri sistemi che si intrecciano l’un l’altro determinati ad esempio dalla scuola, dalla professione, dalla cultura, dal credo religioso, dallo sport, dagli hobbies etc etc…
La storia delle terapie sistemiche è ricca di nomi di studiosi che hanno dato il loro contributo come il gruppo di Palo Alto, nel quale troviamo Paul Watzlawick[14], con l’idea che il contesto relazionale del paziente fosse essenziale per comprendere il sintomo; poi in Italia Mara Selvini Palazzoli[15] a Milano, che si discosta dalla visione di Palo Alto iniziando a vedere i sistemi come processi evolutivi; in Argentina Salvador Minuchin[16] che dopo un’esperienza in una comunità con ragazzi deviati, si rende conto dei limiti della psicanalisi, ritenendola carente per la poca attenzione data al contesto familiare a cui poi si dedicò creando la terapia strutturale di famiglia; Carl Whitaker[17] che si focalizza sui processi emozionali delle famiglie soffermandosi anche sui miti familiari intesi come stress transgenerazionali. Questi costringono i nuovi membri della famiglia a reagire alle perdite subite dalle generazioni precedenti, concetto richiamato anche da Murray Bowen[18], che parla di un processo naturale continuo in cui ogni generazione è presente alle spalle della successiva. Egli definisce la malattia psichica come l’incapacità di autodefinirsi e svilppare una propria identità ben delineata e differenziata dal sistema familiare, a cui ci si mantiene legati senza fondersi. Bowen
dà molta importanza al fare domande, considerandole come un modo non invadente di innescare un cambio negli schemi mentali del cliente.
Un altro nome rilevante è quello di Ivan Boszormenyi-Nagy[19], che individua in un lasso almeno trigenerazionale il contesto per capire un individuo fornendo la definizione di “registro” come l’insieme di debiti o crediti ricevuti dalle generazioni precedenti come un’eredità spirituale sulla quale gli ultimi arrivati devono adattare le proprie vite.
Un’altra autrice che ha dato un contributo nell’ambito sistemico è Anne Ancelin Schutzenberger[20], che in base a studi effettuati sui suoi pazienti, affermò che le loro problematiche erano frutto della ripetizione di eventi generazionali appartenuti agli avi. Anne scrive: “La vita diciascuno di noi è un romanzo. Voi, me, noi tutti viviamo prigionieri di una ragnatela di cui siamo anche gli artefici. Se imparassimo dal nostro terzo orecchio e dal nostro terzo occhio ad afferrare, a comprendere meglio, ad ascoltare e a vedere queste ripetizioni e coincidenze, l’esistenzadi ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere.”[21] Libro consigliato a chi si sente di avventurarsi in questo argomento è senza dubbio: La sindrome degli antenati: psicoterapia transgenerazionale e i legami nascosti nell’albero genealogico
Un altro nome che spicca è quello di Alejandro Jodorowski[22]che parla dell’influenza degli avi in termini di “contaminazione” e ”possessione ”, parole che ben lasciano intendere la potenza dei legami transgenerazionali[Cfr.].
Tra le personalità di rilievo dell’ambito sistemico non si può fare a meno di parlare di Bert Helliger, noto a livello internazionale, studioso dipsicologia, teologia, psicanalisi, è anche stato missionario in Africa per 16 anni. Autore di molte opere dove espone le sue preziose scoperte sul funzionamento dei sistemi familiari, è conosciuto per aver elaborato il metodo delle costellazioni familiari. Tale metodo prevede la messa in scena della situazione del cliente attraverso l’uso di rappresentanti (altre persone), che si posizioneranno nello spazio secondo le indicazioni del terapeuta, portando in questa maniera alla luce dinamiche inconsce così più facili da capire e dissolvere.[Cfr.]
Per un counselor conoscere le dinamiche e il funzionamento dei sistemi è utile in quanto fornisce un ulteriore chiave di lettura e una
comprensione più profonda di ciò che viene esposto dal cliente. Integrare l’approccio sistemico permette dunque di attingere a conoscenze per stimolare una nuova consapevolezza, aiutare ad alleviare situazioni conflittuali e di difficoltà relazionali ma soprattutto ridurre il focus sul disfunzionamento o la patologia dell’interlocutore, così più facilmente coinvolto in un cambiamento.
1.1.4 La famiglia
La famiglia è il primo sistema a cui apparteniamo e ha un’importanza fondamentale poiché rappresenta il contesto in cui ognuno di noi nasce,cresce e impara regole fondamentali ponendo le basi per sviluppo psicologico e sociale del l’individuo.
La famiglia, come abbiamo visto, non ha un ruolo rilevante semplicemente come base per i futuri nascituri ma anche per l’eredità spirituale chearriva dagli avi.
Con la parola “famiglia” si intende normalmente un gruppo di persone unite per parentela, cioè formata da vincoli consanguinei oppure da unvincolo costituito e riconosciuto legalmente e socialmente, come il matrimonio o l’adozione.
La famiglia per molti è rappresentata da quella struttura tradizionale formata da una coppia come base, dove poi si creano le figure di madre e padre quando si hanno figli, costituendo il nucleo di una struttura familiare più ampia fatta da nonni, zii, cugini etc etc. Tuttavia oggi la famiglia non è più solo questo tipo di modello: vari fattori hanno influito sulla formazione di nuclei familiari diversi, per esempio oggi sono molte di più le donne single con figli, i divorzi hanno determinato la separazione del nucleo familiare originario e ricreato tavolta nuovi nuclei con figli provenienti dai matrimoni precedenti e ci sono anche famiglie composte da coppie omosessuali con figli adottivi. Questa è una panoramica generale sulla famiglia in Occidente, ma se guardiamo ad altre culture, la struttura e le regole familiari hanno loro peculiarità. Tutto questo incide sull’individuo e sulle problematiche che possono presentarsi nella sua vita.
Quando si analizza la famiglia come sistema condizionato dalle generazioni precedenti, l’attenzione si pone sui nonni, bisnonni e l’intera linea di antenati ma non tutti hanno la stessa importanza. I nostri genitori, fratelli e, a volte, alcune persone con le quali non abbiamo un legame di sangue sono incluse nel sistema. Si tratta di persone che sono state strettamente coinvolte nel destino della famiglia, o hanno determinato il posto occupato da noi oggi: precedenti rapporti di coppia dei genitori, nonni o bisnonni e tutti coloro che con la loro morte lasciano uno spazio che fa posto ai membri successivi. Ogni coppia precedente che abbia avuto un ruolo importante, come un grande amore, un fidanzamento o un matrimonio, fa parte del sistema. Inoltre se la famiglia ha tratto vantaggi o benenfici dalla sofferenza di qualcuno, quest’ultimo deve essere incluso.
Anche persone che sono state molto presenti affettivamente nell’educazione dei bambini vanno considerate come parte del sistema, come ad esempio la tata di tutta la vita, che oltre al suo lavoro in cambio di denaro, dà il suo amore e il suo affetto alle creature di cui si prende cura.
Le esperienze delle costellazioni familiari hanno portato alla luce che ognuno di noi si muove in un campo spirituale e che la nostra famiglia di origine ha un’anima comune regolata da un forte senso di appartenenza. Quest’ anima segue delle leggi basate prima di tutto sull’ordine, inquadrato come il rispetto della sequenza temporale di appartenenza: il benessere di un sistema familiare è legato al rispetto di tale ordine.
Molte problematiche di cui come persone soffriamo sono determinate dalla violazione, spesso inconsapevole, di tale ordine.
Per fare un esempio semplice nella famiglia, guardiamo ai genitori che, come coppia, vengono prima dei figli: il rispetto di quest’ordine vuole che la coppia coltivi con priorità questo legame e poi quello con i figli. Se due genitori non coltivano prima di tutto il loro rapporto questo si indebolirà e per conseguenza anche quello con i figli. Questi concetti sono ampiamenti affrontati e spiegati nei libri di Hellinger tra cui Le costellazioni familiari :
Quest’ordine è ugualmente importante nelle altre relazioni familiari come tra fratelli oppure nella gestione di rapporti e figli da matrimoni passati e nuovi, dove il disordine si manifesta attraverso malesseri e dinamiche di vario tipo, come forza che vuole ristabilirsi e includere chi non era stato accettato nel sistema familiare. Nel caso di fratelli un esempio che ci fornisce la consapevolezza sulla profondità invisibile dei legami familiari, è quello di un giovane uomo di origine araba che si sentiva sempre male ma nessun medico riusciva a curarlo. Emerse che aveva avuto un fratello con gravi disturbi psichici, morto a 3 anni ed escluso dal sistema familiare; successivamente nacque il cliente a cui addirittura furono dati il nome e i documenti del fratello morto. Il cliente si era inoltre sempre sentito più vecchio e il suo aspetto lo confermava. Per risolvere l’irretimento il fratello in vita ha dovuto riconoscere apertamente il fratello morto per far sì che questo venisse incluso nel sistema.
Questo riconoscimento è frutto di un processo interiore di consapevolezza rafforzato da frasi che il terapeuta può far ripetere al cliente, come in questo caso il fratello minore vivo disse al morto: “Mustafa, tu sei mio fratello più grande. Hai un posto nel mio cuore. Ti prego non arrabbiarti se sono vivo”.[23]
Questo esempio fa riflettere anche sull’importanza di un altro fattore: il legame invisibile e non percepito consapevolmente che ci unisce ad altri membri della famiglia, che talvolta nemmeno conosciamo o di cui non sappiamo nemmeno l’esistenza, anche di altre epoche. Uno psichiatra francese di origine spagnola, Francois Tosquelles, notò che quando curava e guariva un bambino psicotico, a distanza di circa 6 mesi/un anno dopo la restituzione alla famiglia, questa tornava nuovamente con un altro bambino che manifestava la malattia: ciò rafforza il concetto che se si guarisce un individuo senza considerare il sistema familiare, in particolare senza capire il senso delle ripetizioni transgenerazionali, il miglioramento che si può ottenere è solo provvisorio[Cfr.].
Sulla scoperta di queste forze attraverso anni di osservazione, Hellinger basa la definizione degli ordini dell’amore, enfatizzando che l’amore ha un ruolo centrale ma non è sufficiente senza l’ordine. Gli ordini dell’amore sono forze che agiscono indipendentemente da noi, non li possiamo cambiare, possiamo scegliere di capirli e fluire nel loro rispetto in modo da armonizzare le nostre vite, favorendo così non solo noi stessi ma anche la nostra discendenza.
Hellinger afferma molto chiaramente che “se voglio trasformare l’ordine attraverso l’amore, sono destinato a fallire. Così non va. L’amore è subordinato a un ordine e dopo può crescere. Così come il seme è subordinato al terreno e lì cresce e fiorisce”[24]
1.1.5 La madre e il padre
Probabilmente molti di noi percepiscono la sfera familiare, lavorativa o professionale e le relazioni come separate tra loro, tuttavia le osservazioni emerse dall’esperienza di Hellinger nel corso degli anni dimostrano che tutti questi contesti, apparentemente separati, sono profondamente connessi tra loro[Cfr. ] e questa connessione ha un punto focale nel sistema familiare. In particolare le due figure di importanza basica di cui subiamo l’influenza nelle molte altre sfere della nostra vita, sono la madre e il padre, soprattutto la madre ha un ruolo fondamentale in quanto è colei che porta un figlio in grembo e che se ne occupa nei primi anni di vita. Un primo significativo momento è quello della nascita, la nostra prima grande impresa. Il “come” si nasce marca già una differenza: un parto cesareo, una nascita prematura, un parto indotto o un parto naturale?
Sono alcuni esempi di diversi modi di nascere ma il punto significativo è che il modo in cui nasciamo influisce sulla forza che avremo
nell’affrontare le difficoltà[Ibidem]
So bene che spesso a causa di complicanze nel parto, per la sicurezza del bambino e della stessa madre, possa essere necessario un cesareo, ma so anche che oggi alcune donne vedono nel cesareo o nell’epidurale una scappatoia per evitare le sofferenze di questo momento. Tuttavia, parlando anche come madre di due creature nate con parto naturale, so che la natura ci ha fatto forti e in grado di affrontare gravidanza e parto; forse questa società non aiuta la donna nel coltivare la fiducia nel suo corpo e nella forza interiore già insita in lei per affrontare questo momento così delicato e importante tanto per la madre quanto per il figlio, a cui già nella nascita, attraverso la sofferenza che comporta, viene offerta la prima possibilità di farsi valere con le sue forze, diritto che non dovrebbe essergli tolto.
Spesso cerchiamo in tutti i modi di evitare il dolore e la sofferenza senza capire che ci sono sofferenze essenziali per una “nascita” armoniosa, non solo nel parto ma anche nella rinascita di noi stessi. Dall’altro lato siamo essere soggetti a errori, quindi anche quando sbagliamo dobbiamo sempre tener presente che la vita ci offre l’opportunità di lavorare sulle nostre ferite interiori per guarirle e farne un tesoro prezioso.
Altre dinamiche peculiari si istaurano poi quando un bambino rimane orfano o viene adottato, rimanendo pur comunque per sempre i legami con la famiglia d’origine, possono crearsi nuovi legami significativi da inserire nel sistema. Nel contesto di un orfanotrofio o in una famiglia adottiva si suppone che il bambino ritrovi una fonte di nutrimento affettivo che sostituisce la madre mancante. Come riporta Jean S. Bolen nel suo libro “Le dee dentro la donna”, nel 1966 lo psichiatra Anthony Stevens studiò negli orfanotrofi i legami tra le assistenti e i bambini, constatando che tra questi si instaurava un legame speciale[25].
Un altro studio ci fornisce importanti indicazioni sull’importanza dell’amore, delle relazioni e del contatto fin da piccoli, dandoci informazioni su cosa succede ai bambini quando invece non li ricevono: René Spitz[26] rilevò quanto fosse devastante la mancanza materna ed emotiva, osservando cosa succede ai bambini che si separano precocemente e in maniera prolungata da chi si prende cura di loro.
Spitz studiò due gruppi di bambini: il primo gruppo si trovava in un orfanotrofio in cui un operatore si occupava di 7 bambini, in un contesto di freddezza relazionale, il secondo gruppo invece erano bambini lasciati con le madri all’interno della prigione dove queste erano rinchiuse ma potevano prendersi cura di loro ogni giorno. I risultati mostrarono chiaramente come i bambini cresciuti in una condizione emotivamente sterile, privati dell’ amore e del calore di una persona che si prendesse cura di loro, avessero prestazioni intellettuali inferiori, fossero meno curiosi, giocosi, più vulnerabili alle infezioni e sviluppassero in ritardo la capacità di parlare e camminare. Tutti questi sintomi scompaiono quando il bambino ritrova la madre o qualcuno che si prende cura di lui con amore[27].
Se ciò che abbiamo vissuto fin dal grembo materno lascia importanti impronte per tutta la vita, dall’altro lato da adulti il nostro atteggiamento interiore verso i genitori è quello che rende più o meno armoniosa la propria vita nelle sue molteplici aree.
Ad esempio lo stesso atteggiamento che si ha verso la madre si ha anche verso la propria vita e il lavoro[Cfr.], per questo fare pace con la figura materna è fondamentale. Questa pace va definita soprattutto come una dimensione interiore dove si accetta e si onora la propria madre nella totalità, con gli errori da lei commessi, rendendoci liberi di ritrovare armonia e senso di completezza anche quando si parla di una madre defunta o una madre problematica con cui concretamente abbiamo difficoltà a relazionarci. Da un altro lato invece questa accettazione può comportare un miglioramento nel rapporto quotidiano con la propria mamma. Talvolta è infatti possibile coinvolgere materialmente le persone a noi care nel nostro cambiamento, altre volte non è possibile e il cambio rimane prettamente un nostro avanzamento interiore comunque percepito dall’anima del sistema familiare. La madre rimane sempre colei che ci ha donato la vita, come tale se la rifiutiamo, stiamo praticamente rifiutando la vita stessa e l’amore che essa rappresenta.
Nell’approccio sistemico si parla in generale di onorare il padre e la madre, che rappresentano l’origine della propria vita, perché chi rifiuta e giudica i propri genitori lo fa anche con sé stesso. Coloro che disprezzano i propri genitori sono coloro che spesso si sentono vuoti e non realizzati, secondo Hellinger infatti “i depressi disprezzano spesso uno dei genitori”[28].
Questo onorare il padre e la madre vuol dire rispettare gli ordini dell’amore, accettando la vita da chi viene prima di noi, non solo i genitori ma anche i nonni e gli avi. Questa accettazione può avvenire solo attraverso l’umiltà, con la quale ci accorgiamo di essere all’interno di un sistema che trascende la nostra persona, di fronte al quale possiamo solo inchinarci, riconoscerci piccoli e accogliere la vita che ci è stata data così com’è, non solo nei suoi aspetti piacevoli ma soprattutto con le problematiche del proprio sistema familiare. Questo riconscersi piccoli con umiltà è paradossalmente ciò che nella vita ci permette di essere poi grandi e avere successo. In tutto questo è dunque evidente come sia inutile giudicare i nostri genitori, disprezzarli o perdere tempo a pensare come avrebbero potuto essere diversi e migliori, in quanto questo atteggiamento non fa altro che tenerci legati al passato, ci impedisce di cogliere l’essenziale e addirittura ci intrappola nei comportamenti che dei nostri genitori vorremmo evitare.
Molto spesso quando giudichiamo negativamente i nostri genitori, o uno dei due, è molto comune affermare qualcosa di simile a “non farò/sarò mai come lui/lei”: quando questa affermazione è carica di odio e disprezzo non facciamo altro che avvicinarci sempre di più ad assumere esattamente l’atteggiamento che giudichiamo. Anche nelle situazioni di sofferenza estrema, come un abuso subito dai genitori, per il bambino l’unica strada per vivere la propria vita liberamente, è quella di accettare i genitori così come sono, ricordando sempre che “l’odio e la vendetta creano un legame forte, coloro che invece amiamo ci rendono liberi”[Ivi.]
1.2 Applicare il counseling cominciando da sé stessi
Nella mia esperienza personale ho capito e vissuto quanto il processo di counseling cominci prima di tutto da sé stessi. Come abbiamo visto molti sono gli elementi, le tecniche e le risorse a cui un counselor può attingere ma tra queste ce ne sono alcune essenziali e ho scelto di soffermarmi su alcune attitudini come l’empatia, l’ascolto attivo, l’accoglienza senza giudizio e la capacità di attivazione delle proprie risorse personali, tutti fattori diversi ma intimamente collegati l’uno con l’altro.
Come dice Marcella Danon, “esiste una correlazione diretta tra come noi trattiamo noi stessi e come trattiamo gli altri”[29], tra quanta attenzione diamo a noi stessi e quanto siamo in grado di donare agli altri.
Come possiamo applicare l’empatia e l’ascolto attivo verso qualcun altro se prima non ascoltiamo noi stessi? Come possiamo accogliere l’altro e ascoltarlo senza giudicare se per esempio verso noi stessi esercitiamo un forte giudizio e non sappiamo abbracciare le nostre imperfezioni?
Come potremo guidare qualcuno nell’attivazione delle risorse personali se prima non abbiamo attraversato a nostra volta questo percorso?
Queste caratteristiche, opportunamente applicate, sono molto utili sia da counselor che da semplice persona che affronta le difficoltà quotidiane, in quanto da un lato praticarle pone le basi per una vita autentica e in armonia con sé stessi e dall’altro, in una società sempre più veloce e
superficiale, dimostrare empatia, rendersi disponibili a un ascolto attivo e autentico, riuscire ad accogliere il prossimo senza farlo sentire giudicato, possono innescare grandi cambiamenti e benefici in tutte le situazioni, dal lavoro alla famiglia.
Carl Rogers, psicologo e psicoterapeuta statunitense a cui si fa corrispondere la nascita del counseling, diceva “Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene. Quando sei stato ascoltato e udito, sei in grado di percepire il tuo mondo in modo nuovo e andare avanti. È sorprendente il modo in cui problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ti ascolta.”[30]
Mentre nella vita quotidiana possiamo scegliere di usare o meno queste modalità, in un colloquio di counseling è essenziale saperne fare uso, poiché sono indispensabili per innescare un processo di cambiamento nella persona che si rivolge a noi come counselor.
Ci sono mestieri dove dobbiamo semplicemente eseguire una mansione in maniera automatica e ripetitiva, ricopiare, assemblare etc etc, dove non importano il livello di consapevolezza o il proprio vissuto ma per un counselor questi aspetti sono fondamentali. Allo stesso tempo è importante ricevere una formazione adeguata, informazioni teoriche che sono essenziali tanto quanto il saper entrare con totalità nelle esperienze della vita, il campo in cui mettiamo in pratica ciò che impariamo nella teoria ma dove scopriamo anche aspetti nuovi di noi stessi e della realtà sui cui proseguire nel percorso di crescita personale.
È evidente dunque che il counselor debba fare un costante lavoro su di sé esplorando il proprio mondo interiore. In questo frangente è importante ricordare che, anche chi appartiene a questa categoria professionale, è prima di tutto un essere umano, soggetto dunque a errori.
Un counselor non è quindi perfetto e non ci si aspetta da lui perfezione, anche perché al percorso di evoluzione personale non c’è mai fine, quanto più è “una persona attenta ai rapporti umani, proprio perché è sensibile alla complessità della propria interiorità”[31] e certamente è qualcuno che ha svolto un percorso esperienziale e di studi specifico.
Un counselor ha dunque l’obbligo di effettuare un profondo lavoro su di sé per praticare al meglio la professione: di tale attenzione alle proprie dinamiche interiori è in particolare molto importante che questa figura professionale lavori sulle aree personali di maggiore vulnerabilità, in modo che queste non interferiscano in maniera negativa nei colloqui, che possono smuovere le proprie ferite interiori non rimarginate.
Questo percorso di attenzione costante di sé stessi è fondamentale perché il couseling è volto a favorire la riappropriazione del sé autentico del cliente che viene dal couselor, per il quale dunque l’attitudine all’autenticità con sé stesso è imprescindibile e non è possibile praticarla “fintanto che non si è consapevoli della propria maschera e dell’ombra, delle proprie quotidiane finzioni, delle proprie intenzioni dichiarate e inconsapevoli, delle proprie emozioni.”[32]
1.2.1 Empatia
La parola empatia deriva dal greco en = dentro e patheia = soffrire. Tale termine veniva usato nell’antica Grecia per evidenziare la
compartecipazione emotiva fra i cantori dei canti epici e il loro pubblico. Da allora è stata utilizzata fino ai nostri tempi, diventando una delle competenze più importanti incluse nell’intelligenza emotiva e andando a definire la capacità d’immedesimarsi nel sentire di un’altra persona, permettendo quindi di stabilire una connessione con questa.
Ciò non significa necessariamente condividere le stesse opinioni e argomentazioni ne giustificare lo stato o la reazione espressa dall’altra persona e neppure concordare con il modo d’interpretare le situazioni dell’interlocutore; implica la capacità di distinguere tra gli stati affettivi degli altri e quella di prendere prospettiva, sia cognitiva che affettiva, rispetto alla persona che ci esprime il suo stato emotivo. Essere empatici, dunque, non significa “fondersi completamente con l’altro” ma piuttosto essere in grado di mettersi nei suoi panni avendo ben chiaro il confine tre i propri sentimenti e quelli che invece appartengono all’altra persona: questo è molto importante perché permette al counselor di capire l’eventuale problematica senza rimanere imprigionato in essa e poter quindi supportare l’altro.
Si pensa comunemente che l’empatia abbia a che fare principalmente con gli altri essendo un’emozione che si attiva per la comprensione del mondo esterno, tuttavia l’empatia consiste essenzialmente in una connessione profonda con sé stessi attraverso la quale riusciamo a percepire gli altri nel loro essere. Infatti la nostra empatia si sviluppa sulle basi di una percezione intima e autentica dell’altro, cosa che può avvenire solo quando ci siamo liberati da idee limitanti e preconcetti verso noi stessi e l’altro.
La capacità di essere empatici comincia dunque da sé stessi e diventa un’abilità sociale fondamentale che ci permette di ascoltare meglio, di capire e di formulare domande migliori, tre aspetti fondamentali di una buona comunicazione essenziale nel counseling.
Praticare l’empatia ci aiuta ad ampliare le nostre prospettive e quindi ad arricchire il nostro mondo con nuove idee, punti di vista e opportunità.
L’attitudine empatica è essenziale nel counseling per creare una connessione con il cliente, infatti è mostrando vicinanza e interesse per l’altra persona che si favorisce una sua apertura, rimanendo in un atteggiamento di accoglienza; è poi una delle basi per costruire relazioni forti e ricche, dunque è evidente che se per un counselor è fondamentale usare e allenare l’empatia, nella vita quotidiana questa può diventare un mezzo per migliorare i rapporti con le persone che ci circondano, aiutandoci a capirle meglio e in questa comprensione, alleviare ad esempio possibili conflitti dalla sfera professionale a quella personale.
I benefici dell’empatia, in quanto abilità dell’intelligenza emotiva, sono in generale molteplici: permette di godere di relazioni sociali migliori con amici, colleghi o familiari, aiuta a sentirsi meglio, facilita la risoluzione dei conflitti, predispone ad aiutare gli altri e condividere, aumenta il carisma, crea condizioni di maggior rispetto e favorisce capacità di leadership, di negoziazione e di collaborazione[Cfr. ].
1.2.2 Ascolto attivo
L’ascolto attivo si riferisce, come indica il nome, ad ascoltare attivamente e con piena consapevolezza l’altra persona, cioè essere totalmente concentrati sul messaggio che questa cerca di comunicare.
Anche se può sembrare un compito facile, questo tipo di ascolto richiede uno sforzo delle proprie capacità cognitive ed empatiche. Saper ascoltare è molto importante nella comunicazione, e anche se non sembra, in molte occasioni passiamo il tempo in cui l’altro ci parla in attesa di dire ciò che noi pensiamo, invece di ascoltare attivamente l’altro. Come detto per l’empatia, anche l’ascolto attivo è un’abilità fondamentale per un counselor mentre nella vita quotidiana è un catalizzatore che può creare cambiamenti significativi nelle relazioni private e lavorative, poiché moltissimi problemi relazionali in vari contesti si creano a causa di una comunicazione non efficace proprio legata alla mancanza di un ascolto vero.
Un contesto dove per esempio applicare l’ascolto attivo marca una differenza incisiva è quello familiare, all’interno della coppia e con i propri figli.
Molti problemi all’interno della coppia per esempio sono causati dalla mancanza di un ascolto attivo dove la comunicazione si compromette e la distanza tra i due si fa più forte così da sentirsi incompresi, ugualmente può succedere con i propri figli quando il giudizio è più forte dell’accoglienza e non si manifesta interesse autentico verso ciò che l’altro vorrebbe comunicare. Applicare l’ascolto attivo e stimolarlo nei propri figli vuol dire coltivare un ambiente familiare basato sul rispetto e la fiducia reciproci, rafforzare l’autostima e creare un ambiente meno
conflittuale[Cfr.].
L’ascolto attivo non è sentire passivamente, ma si riferisce alla capacità di essere attenti non solo a ciò che la persona sta esprimendo direttamente, ma anche ai sentimenti, le idee o i pensieri che stanno alla base di ciò che sta cercando di esprimere. È evidente come la capacità di ascoltare qualcuno sia fortemente connessa alla capacità di ascoltare noi stessi e controllare i nostri pensieri ed emozioni.
Per un conselor è di massima importanza saper ascoltarsi e gestire ciò che prova. Troppo spesso la vita frenetica ci proietta nel mondo esterno distogliendo la nostra attenzione dall’ascolto della nostra dimensione interiore, influenzando di conseguenza negativamente anche la capacità di ascolto verso gli altri. Un counselor non può ascoltare un’altra persona se prima non è in grado di ascoltare e controllare sé stesso.
Identificare le emozioni e i pensieri permette di esserne consapevoli, il che costituisce un passo fondamentale per raggiungere l’equilibrio interiore, necessario sia come persone nella quotidianità che come counselor.
In questo senso, è imprescindibile dare un nome a quello che ci succede: «Mi sento triste, mi sento arrabbiata/o, mi sento ansiosa/o, sono preoccupata/o». Questo è un lavoro che all’inizio può essere percepito come un po’ noioso, fastidioso e difficile perché siamo abituati a nascondere quello che proviamo, a reprimere e dunque non sentire le emozioni. Questo può causarne un accumulo e per conseguenza determinare che si esprimano con meno controllo e spesso nel momento meno opportuno, il che, a sua volta, genera nuove emozioni negative.
Per questo, diventa necessario imparare a osservarci, ad ascoltarci senza giudicarci, senza entrare in un confronto giudicante con le nostre sensazioni, essendo consapevoli di come e perché reagiamo in tal modo a certe situazioni o a certe persone: per un counselor questo è primario per portare avanti un colloquio equilibrato con il cliente, i cui racconti potrebbero scatenare disagio in chi non ha prima lavorato sull’ascolto e l’elaborazione delle proprie emozioni.
L’ascolto attivo verso gli altri ci rende anche consapevoli delle ferite non rimarginate dandoci la possibilità di capire ciò su cui dobbiamo ancora lavorare e guarire; il rischio è che, se non abbiamo la chiara consapevolezza che le azioni e le parole altrui possono far leva sulle nostre ferite ancora aperte, ricadiamo nella colpevolizzazione degli altri.
Ricordarci che tutti coloro che ci circondano sono un riflesso di noi stessi e che li percepiamo attraverso un filtro personale, cioè per come siamo fatti, fa la differenza nel percorso di conoscenza di noi stessi, nello scoprire i nostri modi di comportarci, le nostre abitudini, i nostri limiti, ma anche le nostre capacità.
Ascoltare noi stessi ci aiuterà a identificare su quali aspetti dobbiamo lavorare, quando abbiamo bisogno di aiuto, comprendendo a poco a poco da dove provengono le nostre emozioni, trovando il modo di agire che più ci soddisfa e accettandoci così come siamo.
Cominciare quindi dall’ascolto di sé stessi è base necessaria per un counselor mentre nella vita quotidiana diventa un altro strumento utile che permette di fare chiarezza nella nostra vita, consentendo di prendere decisioni con più sicurezza.[Cfr.]
1.2.3 Accoglienza e assenza di giudizio
In questa società siamo abituati a farci rapidamente un’idea sugli altri: solo vedendone l’immagine, alcuni gesti e un determinato comportamento, siamo in grado di elaborare un preconcetto sull’altra persona, che ci farà avvicinare a questa, respingerla o criticarla.
Di solito ci preoccupiamo poco di conoscere in profondità una persona, i suoi interessi e le motivazioni per poterla capire, ci fermiamo semplicemente a giudicarla e questo giudizio comporta la creazione di una barriera. Questa in un colloquio di counseling rende impossibile l’essenza stessa dell’incontro: la possibilità di accogliere la persona così com’è stabilendo una connessione per poterla aiutare.
Ancora una volta la capacità di sospendere il giudizio non solo è fondamentale al counselor ma si rivela un’ottima capacità nelle relazioni e nella vita quotidiana, creando un’apertura nei rapporti umani e una riduzione dei conflitti.
Saremo tanto bravi a sospendere il giudizio verso gli altri quanto lo siamo con noi stessi: spesso ci prestiamo un’attenzione molto superficiale e dedichiamo poco tempo a capire perché assumiamo determinati atteggiamenti e abbiamo reazioni di un certo tipo piuttosto che altre. In mancanza di consapevolezza il nostro giudice interno prende forza e anche la compassione verso noi stessi diminuisce.
Quando ci giudichiamo entriamo nel labirinto dei paragoni, delle aspettative e della colpa. Questo è dannoso per ogni essere umano e con questo modo di vedere il mondo è facile perdere sé stessi.
Fin dall’infanzia impariamo a crearci un’immagine di noi stessi, di ciò che ci si aspetta da noi e di come pensiamo che ci vedano gli altri: questa immagine può essere distorta se non ce ne siamo presi cura e se non abbiamo imparato a conoscerci meglio. Molto spesso abbiamo un’immagine distorta e giudicante di noi stessi e degli altri proprio perché non riceviamo nessuna istruzione a riguardo e tendiamo a imitare semplicemente ciò che vediamo nel nostro intorno, dove fin troppo spesso mancano esempi di autenticità e accettazione senza giudizio. Quando non siamo sicuri di chi siamo, diamo maggior valore al modo in cui ci percepiscono gli altri, e questo crea un’ instabilità che può essere molto pericolosa perché evidentemente ogni persona ci vedrá in maniera diversa.
Il modo in cui ci si vede è importante perché un giudizio negativo di sé stessi produce pensieri autodistruttivi e compromette la capacità di essere coerente con i propri valori, determinando le decisioni che si finisce per prendere, e di conseguenza, la vita che si vive. Una persona che non è in grado di vedersi attraverso un’accettazione positiva incondizionata non potrà aiutare un altro individuo a percepirsi in questa visione.
1.2.4 Attivare le risorse personali
Uno degli obiettivi del counseling è quello di far sì che siano le persone stesse a elaborare le soluzioni ai propri problemi, ciò vuol dire che un counselor non è chiamato a fornire soluzioni preconfezionate ma a stimolare attraverso il colloquio l’emergere delle risorse personali dei propri clienti come fonte da cui attingere per la risoluzione delle proprie difficoltà. Un counselor dunque non deve ricadere nella trappola del fornire consigli e soluzioni, quantopiù dare spunti di riflessione, proporre strategie, possibilità, punti di vista alternativi che aiutino il cliente a tirare fuori le proprie capacità o percepire diversamente ciò che viene inquadrato come problema.
Talvolta semplicemente la possibilità di parlare, di essere ascoltato e accolto, dà all’interlocutore del counselor una maggiore chiarezza e consapevolezza.
In altre situazioni invece occorre accompagnare il cliente nella riscoperta delle proprie risorse personali che sono quelle intime capacità, conoscenze, dettagli, tratti di carattere che facilitano l’accesso a una dimensione creativa interiore come fonte e ispirazione per la risoluzione dei propri problemi e anche del modo di percepire gli stessi. Credo fortemente che non esistano persone senza risorse, solo persone che talvolta non ne sono consapevoli, soprattutto quando non si è allenati a usarle e quando ci si trova davanti a situazioni nuove mai affrontate prima.
Il counselor, se lo ritiene opportuno nel colloquio, può dunque trovarsi a dover sollecitare il cliente nella riscoperta delle proprie risorse, senza dimenticarsi di considerare vari fattori come la fase della vita in cui si trova il proprio interlocutore, il contesto culturale e familiare, rispettando sempre la decisione del cliente di accogliere, provare ed esplorare i suggerimenti e gli spunti forniti.
Essendo il percorso di crescita personale unico per ogni individuo come pure la decisione di agire in un verso piuttosto che in un altro, o di non agire affatto, un counselor è chiamato ad avere un atteggiamento di apertura e ascolto rispettoso delle possibilità decisionali del proprio cliente, accettando che talvolta ci sarà una soluzione, un’azione da poter intraprendere e in altri casi semplicemente si dovrà accettare di aspettare senza agire per forza, liberandosi anche dalla pressione di dover necessariamente fare qualcosa.
Riscoprire le proprie risorse e capacità vuol dire anche rivalutare concetti semplici che tuttavia sono la scintilla per grandi cambi, tra questi per esempio la volontà, forza che consente all’individuo di rialzarsi e ricominciare. La volontà è definita da Roberto Assagioli come un muscolo[33].
Questa definizione di volontà ci permette di capire che se non la utilizziamo rimane atrofizzata ma allo stesso modo possiamo tornare ad allenarla riappropriandoci di quel margine di libertà che abbiamo nella vita e che ci aiuta a tornare nel ruolo di protagonisti e non spettatori delle nostre vite.
Ci sono molti modi per stimolare le risorse personali, talvolta un libro, le meditazioni, un corso, un seminario, l’uso delle affermazioni positive o l’azione stessa intesa come applicazione di ciò che si impara, delle proprie idee, passare cioè al piano esperienziale e non rimanere solo sul piano teorico. Anche l’arte come ad esempio avviene nell’art counseling, diventa un mezzo di espressione del cliente ma anche riscoperta di parti di sè sconosciute che possono essere di notevole aiuto per vivere una crisi personale in maniera più consapevole, costruttiva o meno sofferente.
Nell’applicazione di una tecnica piuttosto che un’altra è molto importante lasciarsi del tempo e rimanere in ascolto anche dei silenzi e dei vuoti interiori che certe situazioni creano.